"Chiesa missionaria e missionarietà della Chiesa: uno sguardo dall'Asia"
Missione ad gentes e incontro culturale: la testimonianza della Chiesa missionaria in Asia
In un mondo in continua trasformazione importante domandarsi che cosa sia realmente la missione. Per descriverla in modo semplice e profondo, perché a volte le parole non bastano, un missionario coreano della Chiesa in Mongolia si riferiva a un “sospiro”, che esprime al contempo esultanza, malinconia, profonda dedizione e forse anche frustrazione. In questo “sospiro”, può essere trovata una risposta al mistero della missione che abbraccia la vita intera.
I discepoli di Emmaus, presenti nel Vangelo di Luca, possono essere identificati come un’icona della missione. Il cuore dei discepoli si accende e si apra al riconoscimento di Cristo attraverso la Parola e l'Eucaristia. Questo incontro è il fulcro dell'attività missionaria della Chiesa, che deve partire dalla contemplazione e dalla preghiera e fondersi con la vita spirituale. La missione tende a rendere possibile questo incontro. È dove due o più discepoli si riuniscono a testimoniare Cristo, che Egli è presente e si rivela. È Lui, il Risorto, ad aprire le nostre menti, per comprendere il senso profondo delle Scritture e a mandarci esplicitamente nel mondo.
Non bisogna dimenticare che esiste una dimensione specifica della missionarietà, quella che viene definita come missione ad gentes, come annuncio del Vangelo in contesti dove esso non è ancora conosciuto e dove semplicemente non ci sono altri a testimoniarlo. Ogni azione della Chiesa è impregnata di missionarietà, tuttavia, esistono ancora molte aree del mondo, dove la Chiesa non si è ancora pienamente costituita o è ai primi passi del suo radicamento locale. Esempio emblematico è l’Asia, continente dove vive circa il 61% della popolazione mondiale, di cui però meno del 13,1% si identifica con il Cristianesimo.
In Mongolia, la Chiesa è presente solo da 32 anni ed è costituita da circa 1500 fedeli locali, accompagnati da un gruppo di missionari e missionarie, tra i quali uno solo è un sacerdote locale. Si sta tuttora lavorando a completare la traduzione della Bibbia in lingua locale, inoltre, alcuni testi liturgici devono ancora essere approvati dalla Sede Apostolica. In questi territori, tutto è nuovo e ha un impatto dirompente, il quale necessita profondità, solidità di dottrina, qualità di testimonianza. Per tale ragione, costruire missioni ad gentes, continua ad avere un suo valore specifico, perché specifica ne è la vocazione.
Si può “imparare” la missione? Sì, come i discepoli di Emmaus hanno dovuto mettersi in ascolto del Risorto che “spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. È soprattutto questione di sondare sempre e di nuovo, sotto tutti gli angoli possibili, il mistero di Cristo e della Chiesa sua Sposa. La missione ha bisogno della filosofia, ma anche delle scienze sociali, della linguistica, del diritto canonico; soprattutto della teologia. Lo zelo da solo potrebbe non bastare. San Giuseppe Allamano, Fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata e che da pochi giorni è stato canonizzato in Piazza San Pietro, usava dire: “La pietà può formare un buon eremita, ma solo la scienza unita alla pietà, può formare un buon missionario”
È questione di rispetto del mistero dell’incarnazione del Verbo, che si riverbera in quello della Chiesa da Lui inviata non come megafono di un messaggio ideologico, ma come corpo mistico e popolo di Dio, che si trova a proprio agio in tutte le culture, fecondandole con il Vangelo. L’incontro con Cristo può avvenire nei modi più diversi, per lo più a noi sconosciuti; ma solitamente ha bisogno di mediazioni umane, persone concrete che diano carne alle parole di Gesù e invitino al banchetto del Regno. Solo in questo modo è possibile raggiungere il cuore di popoli e persone.
Dal sospiro, arriviamo al sussurro. Riprendendo l’espressione di Mons. Thomas Menamparampil, la missione è “sussurrare il Vangelo al cuore delle culture”, è un delicato dialogo con esse. La missione è un mistero che fa sospirare di amore vero, innanzitutto per Lui. Cristo e il suo Vangelo sono il cuore e l’unico contenuto dello slancio missionario che anima la Chiesa, oggi come sempre. In un’epoca di sfiducia generale nelle grandi narrazioni, di revisionismo storico post-coloniale, di paura di qualsiasi pensiero che non sia debole (perché ritenuto potenzialmente offensivo e minaccioso) la Chiesa continua ad annunciare il Vangelo, in fedeltà al mandato che ha ricevuto dal suo Signore. È l’evangelizzazione del cuore a chiedere impegno di decifrazione, studio, approfondimento del meraviglioso intreccio di cultura, tradizione religiosa, lingua, letteratura, arte, musica, ma anche territorio, simboli, tendenze. Quando si è dentro a questa relazione di profonda conoscenza, stima e amicizia viene spontaneo condividere, sussurrare con delicatezza e discrezione ciò che ci sta più a cuore.
Il sussurro dice anche atteggiamento orante, dimensione contemplativa, proprio come nelle antichissime tradizioni religiose nate in Asia, nelle quali prevale il registro della parola meditata, ripetuta, salmodiata. E del silenzio. Lo ha ricordato Papa Francesco l’anno scorso proprio in Mongolia, quando si è rivolto così alla piccola Chiesa locale: “Sì, è Lui la buona notizia destinata a tutti i popoli, l’annuncio che la Chiesa non può smettere di portare, incarnandolo nella vita e ‘sussurrandolo’ al cuore dei singoli e delle culture. Questa esperienza dell’amore di Dio in Cristo è pura luce che trasfigura il volto e lo rende a sua volta luminoso. Fratelli e sorelle, la vita cristiana nasce dalla contemplazione di questo volto, è questione di amore, di incontro quotidiano con il Signore nella Parola e nel Pane di vita, e nel volto dell’altro, nei bisognosi in cui Gesù è presente”.
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